Per un’accoglienza rispettosa
Non è facile rimanere fermi, voltarsi dall’altra parte, non è facile e non si può fare, perchè mentre la nostra società continua ad ignorare i diritti di milioni di individui che scappano da guerre e povertà , la stessa, incarnando il perbenismo occidentale, ci ricorda per una buona convivenza l’importanza del rispetto, dell’educazione civica, della cooperazione…Allora di fronte a questa spregevole ambivalenza bisognerebbe che la rabbia, l’indignazione prendesse il sopravvento e chiedersi ma quando la politica parla in questi termini chi è il suo interlocutore? l’uomo, la donna o unicamente il cittadino di un certo stato, con un certo reddito, in grado di garantire con il suo lavoro un ritorno economico alla società in cui vive? Eppure siamo stati noi, non altri, noi uomini a scrivere la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e che strano che ci siamo dimenticati di rispettare l’art.13 che così recita:
“1) Ogni persona ha il diritto di circolare liberamente e di scegliere la propria residenza entro i confini di uno stato;
2) Ogni persona il diritto di abbandonare qualsiasi paese, compreso il proprio, e di rientrare nel proprio paese”.
Voi vi chiederete cosa c’ entra questo mio scritto con il fatto che io sia una psicoterapeuta, beh credo c’ entri tanto, perchè tutto quello che volontariamente si sta procurando a questi uomini, donne e bambini non potrà non avere una ricaduta sul loro benessere psichico. Sono persone che scappano da guerre e persecuzioni, laddove i motivi fossero meramente economici, allora anche io sarei dovuta essere rispedita in Puglia, quando all’età di 18 anni i miei genitori pensarono che permettermi di studiare a Roma fosse per me un’opportunità migliore che rimanere nella mia terra, dove fra l’altro non esisteva neanche la Facoltà di Psicologia? E poi cosa dire di questi bambini, nati nel viaggio della speranza, di qualche mese, di pochi anni, fanciulli, adolescenti…messi nella condizione di morire per salvarsi e quando il viaggio termina sulla terra ferma con polmoni che ancora respirano, ad accoglierli trovano uomini armati, respingimenti…l’eterno ritorno di ciò che hanno già conosciuto in patria, aggravato dallo sguardo disperato di un padre, di una madre che vede crollare l’aspettativa di una vita migliore per se e per i propri figli, uomini e donne spogliati della loro dignità…per i quali ci vorrà molto tempo, molta cura per ricucire le ferite del passato ma anche quelle del momento presente dell’accoglienza nei Paesi così detti rispettosi dei diritti umani. Bisognerebbe abbracciarli, cullarli, rassicurarli, condividere, entrare in contatto con le loro emozioni, immedesimarsi in ciò da cui stanno fuggendo, accantonare il sospetto per la fiducia.
Per tutto questo e tanto altro ancora anche lo studio di psicologia e psicoterapia “Come l’Albero” domani 11 settembre aderirà alla “MARCIA DELLE DONNE E DEGLI UOMINI SCALZI”, che partirà alle 18 da Piazza Garibaldi.